Questo articolo è un estratto da una rivista, La Piva dal Carner che si è definita “un opuscolo volutamente rudimentale di cultura popolare, ricerca, comunicazione e dintorni a 361°”. Una rivista che per quarant’anni ha pubblicato con regolarità ma che ora, purtroppo, ha interrotto le pubblicazioni. Rimane il sito web, per chi volesse approfondire. Un ringraziamento particolare a Bruno Grulli che ci ha dato la possibilità di riproporre questo articolo, pubblicato nel n.15 de “la Piva del Carner” di ottobre 2016.
di Bruno Grulli, in collaborazione con Emanuele Reverberi e Paolo Simonazzi
Se il repertorio della musa può essere virtualmente interpretato anche grazie alle registrazioni di musiche di piffero, cioè dello strumento a cui la musa faceva da accompagnamento, per la piva le cose non stanno così.
Escludendo le poche battute raccolte da Borella e Ferrari e le poche altre a livello verbale nessun suonatore di piva emiliana è stato registrato in attività. La ricostruzione di un ipotetico repertorio della piva può solo essere basato su testimonianze ed estrapolazioni da altri repertori.
La piva Emiliana. Clicca per approfondire!
La piva emiliana è un “Aerofono a sacca d’aria” che appartiene alla famiglia delle cornamuse della Europa nordoccidentale caratterizzate da una sola canna del canto conica ad ancia doppia e da 1 o 2 o 3 bordoni cilindrici ad ancia semplice. E’ uno strumento totalmente diverso dalla Zampogna in uso nel centro sud d’Italia. In uso fino agli inizi degli anni ’50 del 20° secolo ha come sua area stanziale il territono montano delle province di Parma, Piacenza e Massa Carrara.
Le pive recuperate sono 18 e sono state raccolte tra il 1978 ed il 2011, esclusivamente nelle province di Parma e Piacenza ed anche quella ritrovata a Montecchio è di sicura provenienza parmense.
La cultura musicale dei suonatori si costruiva a orecchio, e l’apprendimento dei repertori avveniva, esclusivamente per trasmissione orale, dai brani per il ballo che accompagnavano i rituali e le festività del calendario agricolo , a anche di altre ricorrenze civili e religiose.
Tra la fine del ‘700 ed il 1950 sono stati elencati circa 100 suonatori di piva che vanno dai quattro ancora viventi all ‘epoca della intervista a quelli di cui si suppone solo l’esistenza,
Un dato fondamentale è che il centinaio di suonatori e le 18 pive sono situate tutte entro i confini del vecchio stato ducale di Parma compresa la Lunigiana.. Questo dato assoluto ci impone di vedere la piva emiliana come un fenomeno connesso con la storia del ducato di Parma..
Nonostante sia stata suonata fino agli anni Cinquanta, la piva e da considerare estinta come fenomeno culturale nel 1935 cioè con la guerra d ‘Etiopia che diede inizio ad un ininterrotto periodo di conflitti bellici conclusi solamente nel 1945 in un mondo ormai mutato.
I motivi della scomparsa della piva sono molteplici:
– Difficoltà nella manutenzione e nell’accordatura dello strumento;
– Difficoltà di adattamento alle nuove esigenze musicali a causa della sua tonalità fissa;
– La comparsa di strumenti più “comodi” e con un’estensione più vasta, In particolare della fisarmonica; che può essere considerata il “killer” della piva.
– Il basso grado di interesse da parte dei giovani del dopoguerra per i vecchi balli e per la cultura tradizionionale.;
– L’ inurbazione con conseguente spopolamento dell’Appennino.
Dalla metà deglì anni ’70 il movimento del folk revival ha rilanciato lo strumento ed ha avviato la ricerca su di esso che si è risolto con la raccolta di una grande quantità di informazioni e col recupero di 18 esemplari autentici che si possono suddividere in tre “famiglie”:: Le val Parma/Baganza – le val Ceno/Taro – le Piacentine.
Abili artigiani del legno (Franco Calanca di Bologna, Ferdinando Gatti di Modena,Paolo Simonazzi di Reggio, Lino Mognaschi di Parma, Ettore Losini detto Bani di Piacrenza,Daniele Bicego di Milano) hanno studiato gli strumenti ed hanno ricostruito copie fedeli delle vecchie pive.
Resta aperto il tema dei repertori per i quali è in corso una operazione di recupero condotta da Emanuele Reverberi basata sulle musiche dei brani per il ballo della Piva che proprio nelle valli dell’Enza e del Tassobbio vennero eseguite con violino e fisarmonica e che sono state registrate da Bruno Grulli negli anni Ottanta.
Riguardante in particolare la valle del Tassobbio la vicenda storica dei confini tra i ducati di Parma e di Modena che serpeggiava attorno all’Enza creando enclaves in entrambe le sponde del fiume e favorendo la trasmissione del ballo della Piva nel Reggiano. Solo con l’Unità d’Italia l’Enza divenne il confine. Mentre il ballo della Piva è molto diffuso nella fascia occidentale della montagna reggiana mentre nella parte che scarica in Secchia è quasi sconosciuto. Nel 2019 il film L’APPENNINO CHE SUONAVA ha trattato poprio di questi argomenti in val Tassobbio.
La materia quivi trattata può essere approfondita sulla rivista “La Piva dal Carner” (Reggio Emilia 1979- Montecchio 2020) scaricabile dal sito www.lapivadalcarner.it alla pagina “fascicoli arretrati” ( BG.marzo 2021)
Se tra il Piacentino e l’Enza sono state contate decine di suonatori bisogna pensare che costoro non possono aver suonato per secoli solamente quelle poche note che conosciamo. Dovevano quindi esistere vasti repertori che però non sappiamo dove sono finiti. È possibile che essi siano scomparsi senza lasciare traccia in successive musiche?
Sappiamo che il ballo principale suonato con la cornamusa emiliana fu la omonima “Piva” ampiamente diffuso nel territorio della Emilia Occidentale ma la crisi dell’aerofono in certe zone e la sua scomparsa in altre hanno fatto trasferire quei balli su altri strumenti: organetto, fisarmonica e violino. Si tratta solamente di una supposizione ma d’altra parte questi balli non possono essere stati cancellati dalla memoria.
L’affermazione della fisarmonica marginalizzò sempre più la piva. Fino agli anni Quaranta ci furono sterili tentativi per abbinare i due strumenti. Prima del suo definitivo oblio si tentò di accoppiare la piva con la fisarmonica (non è chiaro quando si tratta di fisarmonica o di simitòun) ma non sappiamo quali furono i risultati di questi abbinamenti (1, 2, 3, 4).
La piva venne usata in ruoli civici e religiosi, in chiesa per Natale, nei funerali ma il suo principale utilizzo fu nelle feste da ballo in occasione delle sagre, per Carnevale, nei matrimoni, ecc. prima che la fisarmonica la accantonasse.
L’uso principale della piva, come emerge dalla stragrande maggioranza delle testimonianze, è dunque come solista per le musiche dei balli “sunem un bal… gh’ò ròt la piva… fèla yustèr… an gh’ò dener…” (5,6) che fino alla vigilia del 2° conflitto mondiale si svolgevano, come sappiamo da una abbondante letteratura, con grande frequenza in tutto l’Appennino Emiliano.
I balli fatti con la piva fin verso il 1935 furono anche polka, mazurka e valzer che vennero inseriti tardivamente in repertori ben più antichi per tentare di arginare la concorrenza di quelli nuovi e dei nuovi strumenti. Dalle testimonianze raccolte però si ha l’impressione che anche quei nuovi balli venissero fatti con le stesse figurazioni di quelli più vecchi: “…persino il valzer si faceva saltato come i balli di prima…” (7).
Alla ricerca dei brani
Ora non resta che fare il percorso inverso e provare questi brani, e per estensione tutti i balli staccati della Emilia Occidentale sulla piva e vedere quali ci possono stare. In Emilia, dall’inizio degli anni Novanta, i primi ad usare delle cornamuse per eseguire tali balli (Giga Piacentina, Furlana Reggiana) furono quelli della Piva dal Carner, il gruppo che prese il nome da questa rivista. Nel 2000 Franco Calanca produsse il primo CD completamente dedicato alla piva (8) dove incise però principalmente i balli della Val Savena i quali sono essenzialmente funzionali al violino. I balli dell’Appennino Emiliano tra il Trebbia ed il Secchia, facenti parte della cultura operativa popoiare di quell’area, appaiono più legati e meglio si prestano ad essere suonati con la cornamusa come hanno dimostrato altri gruppi già dagli anni novanta.
I materiali raccolti sono prevalentemente eseguiti con fisarmonica ma anche con violino o solo canticchiati o fischiettati e sono: 1 brano su lacca inedita – 4 corpi di pive inedite – 1 raccolta non pubblicata – cantatine di testimoni – materiali Ferrari & Borella- 2 raccolte da verificare – spartiti Micheli – alcuni brani vari – alcune partiture pubblicate da verificare.
La Piva (ballo) penetrava anche in provincia di Reggio (se ne parlava fino a Migliara) dove il remoto abbandono della cornamusa aveva costretto a trasferire l’esecuzione del ballo ad altri strumenti: organetto, violino e fisarmonica. Era talmente presente nei repertori di quasi tutti i suonatori da lasciare una profonda traccia ed anche in seguito quel ballo venne suonato. Alcune sue esecuzioni sono state registrate.
Addentriamoci in una prima zona dell’area circoscritta e cioè la valle del Tassobbio (affluente dell’Enza in provincia di Reggio Emilia) dove nella zona tra Rosano, Santo Stefano, Pineto, Castellaro, Donadiolla, Scalucchia, Crovara e Legoreccio vi fu all’inizio del ‘900 un centro di trasmissione delle musiche del ballo. Qui le Pive (a ballo) sono tre.
La Piva di Renzo Casali
La prima Piva è quella del violinista Renzo Casali (1906-1998) di Vercallo di Casina ma originario di Borzano di Canossa.
Suonò fino agli anni Sessanta in coppia col fisarmonicisti Renzo di Borzano e con Giuseppe Chiesi detto Lèri di Vedriano. A Vercallo l’incontrammo, nel gennaio del 1981. Conosceva una Piva ed una Furlana che suonava col violino ma ora le sapeva solamente fischiettare. La piva di Casali venne registrata nel gennaio 1981, trascritta da Alfonso Borghi e pubblicata (9,10,11). Ne riportiamo una più recente trascrizione tratta direttamente dalla registrazione originale che nonostante i 35 anni trascorsi è ancora integra.
La Piva di Renzo Costetti
La seconda Piva è quella registrata nell’Aprile 1982 dal violino di Renzo Costetti (1923-2015) di Montecavolo ma originario di Montepiano di Vetto; la sua trascrizione venne pubblicata (10,11,12,13).
Costetti fu allievo di Oreste Garofani di Rosano (cl. 1904) che a sua volta fu allievo di Renzo Boni. Costetti fu essenzialmente suonatore di liscio ma conosceva pure una Piva che eseguiva col violino.
Ne riportiamo una recente trascrizione tratta dalla registrazione
La Piva di Celso Campani
La terza Piva è quella del violinista Celso Campani(1897-1995) di Canossa ma originario dì Santo Stefano di Vetto.
Trascorse parte della sua gioventù al Prade, un podere vicino a Castellaro. Registrata nel 1981 anche questa piva venne trascritta e pubblicata (9, 10, 11).
Dapprima chitarrista Celso Campani apprese i primi rudimenti di violino dal padre Clerenzio (1860-1939) e dallo zio Erminio entrambe violinisti; suonò con loro e col vecchissimo contrabassista Fagiolo di Castellaro. Quindi prese lezioni da Renzo Boni; in seguito Celso suonò col fisarmonicista Vasco Olmi poi con Camillo Bertoni di Roncaglio. Suonava Piva e Furlana che al momento dell’intervista sapeva solo canticchiare. Della Piva ricorda la mossa della battuta delle mani sotto il ginocchio. Ricorda di altri balli solo i nomi: Manfrina, Tarantella, Galop, Trescone, dell’Hai, della Sedia, della Scopa che avevano musiche proprie che non ricorda più (9).
La Piva di Celso è molto vicina sia a quella di Renzo Casali che a quella di Renzo Costetti che ebbero tra il loro maestri, direttamente o indirettamente, Renzo Boni(1894-1968) del Chiastro di Rosano, violinista e contrabassista ritenuto il migliore della zona. È molto probabile che le tre pive di Casali, Costetti e Campani siano varianti di quella che suonava Boni in coppia col fisarmonicista Camillo Bertoni di Roncaglio (1891-1945).
Boni si perfezionò che aveva già una certa età da un Pignedoli di Felina che era più giovane di lui. Avolte suonava con Febo Branchetti, fisarmonicista di Scalucchia suo coetaneo, a volte col figlio Walter e col “satiraio” ma anche contrabassista Orazio Campani (1906 – 1995) di Donadiolla.
Renzo Ciastra e Camillo erano soliti eseguire Pive e Furlane variate fra loro tenendo fermo il ritmo ed il motivo di base(14).
Le loro Piva e Furlana che poi passarono agli allievi , sarebbero state tramandate dal leggendario Diego Rabotti (circa 1865-1920) (14) di Legoreccio (Vetto) che ai suoi tempi era considerato il migliore della zona tanto da essere soprannominato “Paganini”. Si vuole che Rabotti suonasse il violino preferibilmente da solo e facesse in prevalenza Piva, Furlana ed altri balli saltati che aveva imparato da altri suonatori della zona più vecchi di lui (15).Rabotti cedette il suo violino a Renzo Boni al quale aveva insegnato i primi rudimenti di musica all’epoca in cui lo accompagnava con la chitarra (circa 1904-1910) anche se altre fonti attestano che Ciastra ebbe il violino da un commilitone durante la 1^ Guerra Mondiale alla quale aveva partecipato(16).
A Borzano c’era Tapognani Giuseppe detto Yusfòla (circa classe 1885) che “..usava solo il simiton e suonava sempre quei due o tre balli staccati e la gente gli diceva: Yusfòla cambia fòla (12). A Legoreccio il mitico Tognet dal Grèz dla Croara (Antonio Cotti o Rabotti – cl. circa 1870) suonava col simiton solo Piva e Furlana. Ma tutta la zona era popolata da molti altri suonatori dei quali si è conservata solo la memoria dei luoghi di provenienza come per un vecchissimo violinista di Donadiola e di altri di cui non si sa il nome ma che di sicuro erano i portatori di Piva e Furlana (10,14).
È supponibile quasi con certezza che le tre pive registrate abbiano subito questo percorso e derivino da quella di Diego Rabotti.
Secondo Costetti la Piva venne richiesta fin verso il 1950-1955 e c’erano due modi per suonarla e ballarla: la Piva Matta che si faceva a mosse lente ed era molto ridicola e la Piva Normale composta dalla “batuda” veloce nella quale c’era il colpo delle mani sotto il ginocchio e dalla “lissa” o “girada” nella quale i ballerini giravano il braccio attorno alla testa (11,13,17).
Considerati i tratti comuni delle Pive di Costetti, Campani e Casali non è difficile immaginare che anche quella di Boni provenisse dalla stessa matrice.